Quito. Molto stupidamente, alcuni mesi fa, pensavo che la pandemia e i disastri naturali derivanti dalla distruzione dell'equilibrio ecologico, ci avrebbero fatto riflettere come collettivo di Umanità e cercare più soluzioni solidali tra umani e umani e con il Pianeta, la nostra casa. Molto ingenuo da parte mia non ricordare che l'avidità del grande capitale non ha limiti o valori, se non l'accumulazione irrazionale.  Siamo ancora fiduciosi che l'istinto di sopravvivenza animale, che abbiamo come esseri umani, ci porterà a trovare le risposte necessarie. Spero che l'opzione democratica per il socialismo ci conduca ad una razionalità indispensabile e ci conduca ad un  rapporto fraterno e filiale  con la nostra Pachamama e tra umano e umano. Scommettiamo su questo e dobbiamo andare avanti lì. Questa guerra provocata e inaspettata è un altro campanello d'allarme.

Mentre la situazione nel Donbass diviene sempre più incandescente, Biden, alla vigilia del colloquio con Putin, ha convocato l’11 febbraio quello che di fatto è il consiglio di guerra della Nato e dell’Unione Europea: il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, il primo ministro britannico Boris Johnson, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il primo ministro italiano Mario Draghi, il presidente polacco Andrzej Duda, il presidente rumeno Klaus Iohannis, il primo ministro canadese Justin Trudeau, affiancati dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Il consiglio di guerra Nato-UE ha chiarito che «se la Russia effettua una ulteriore invasione dell’Ucraina, gli Stati uniti, insieme con i loro Alleati e partner, risponderanno con decisione e imporranno immediati e pesanti costi alla Russia».

Questo ha detto il giorno dopo Biden a Putin, a nome non solo degli Stati Uniti ma della Nato e dell’Unione Europea. Rifiuto totale di ogni trattativa, di fatto una dichiarazione di guerra, sottoscritta dall’Italia per mano di Mario Draghi sotto gli occhi di un Parlamento silente e consenziente. Ogni giorno di più si intensificano i segnali di guerra imminente. Il Dipartimento di Stato sta evacuando l’Ambasciata a Kiev, lasciandovi solo pochi diplomatici e una squadra di Marines, e avverte i cittadini statunitensi di lasciare l’Ucraina perché «non sarebbe in grado di proteggerli dall’attacco russo». Lo stesso ha fatto la Farnesina.

Il Pentagono sta ritirando dall’Ucraina 160 istruttori militari, che hanno addestrato le forze di Kiev. Restano però consiglieri e istruttori militari appartenenti alle Forze Speciali Usa e Nato, che hanno di fatto la direzione dell’Esercito e della Guardia nazionale di Kiev. In prima fila il battaglione neonazista Azov, già distintosi per la sua ferocia contro le popolazioni russe del Donbass, promosso per i suoi meriti a reggimento meccanizzato di forze speciali, armato e addestrato dalla Nato.

Ha la stessa insegna della Divisione Panzer SS Das Reich, una delle 200 divisioni hitleriane che nel 1941 invasero l’Unione Sovietica. Furono sconfitte, ma il prezzo pagato dall’Unione Sovietica fu altissimo: circa 27 milioni di morti, per oltre la metà civili, corrispondenti al 15% della popolazione (in rapporto allo 0,3% degli Usa in tutta la Seconda guerra mondiale); circa 5 milioni di deportati in Germania; oltre 1.700 città e grossi abitati, 70 mila piccoli villaggi, 30 mila fabbriche distrutti. Tutto questo viene pericolosamente dimenticato, mentre la Russia continua a ripetere, parlando al vento, che non intende attaccare l’Ucraina e denuncia la crescente concentrazione di truppe di Kiev di fronte all’area del Donbass abitata dalle popolazioni russe.

Qui Kiev ha schierato oltre 150 mila soldati. Sono dotati di veicoli lanciarazzi Grad, ciascuno capace di lanciare fino a 40 km, in una salva di 20 secondi, 40 razzi da 122 mm con testate ad alto esplosivo che, deflagrando, investono una vasta area con migliaia di taglienti frammenti metallici o piccole bombe a scoppio ritardato. Un attacco su vasta scala con armi di questo tipo, contro gli abitanti russi delle regioni di Donetsk e Lugansk, provocherebbe una strage e non potrebbe essere arrestato dalle forze locali costituite da circa 35 mila uomini.

La guerra potrebbe esplodere con una operazione false flag. Mosca denuncia la presenza in Donbass di mercenari Usa con armi chimiche. La miccia potrebbe essere una provocazione, tipo un attacco a un abitato ucraino, attribuito ai russi del Donbass che verrebbero attaccati dalle soverchianti forze di Kiev. La Federazione russa ha avvertito che, in tale situazione, non resterebbe a guardare, ma interverrebbe a difesa dei russi del Donbass, distruggendo le forze attaccanti.

Esploderebbe così, nel cuore d’Europa, una guerra a tutto vantaggio degli Usa che, attraverso la Nato a cui appartengono 21 dei 27 paesi Ue, e con la collaborazione della stessa Unione Europea, riportano l’Europa a una situazione simile, ma più pericolosa, di quella della guerra fredda, rafforzando l’influenza e la presenza statunitensi nella regione europea.

 

fonte: voltairenet.org

Da alcuni mesi i dirigenti dell’Alleanza Atlantica denunciano che la Russia si sta preparando a invadere l’Ucraina. Mosca però respinge totalmente le accuse, giustificando senza difficoltà i movimenti di truppe. Il Consiglio di Sicurezza russo ha infine chiarito pubblicamente la propria posizione: ha pubblicato una proposta di trattato di pace che soddisferebbe chiunque fosse dotato di buon senso. Washington però tace perché la proposta russa mette in evidenza la sua ambivalenza.

La Federazione Russa ha consegnato agli Stati Uniti d’America, il 15 dicembre, il progetto di un Trattato e di un Accordo per disinnescare la crescente tensione tra le due parti. I due documenti sono stati resi pubblici, il 17 dicembre, dal Ministero degli Esteri russo. La bozza di trattato prevede, all’Art. 1, che ciascuna delle due parti «non intraprenda azioni che incidono sulla sicurezza dell’altra parte» e, all’Art.2, che «si adoperi per garantire che tutte le organizzazioni internazionali e alleanze militari a cui partecipa aderiscano ai principi della Carta delle Nazioni Unite».

Nuove armi si stanno aggiungendo all’arsenale delle politiche economiche e finanziarie dell’Occidente. Per comprenderne la natura e portata, occorre partire da quelle sinora usate: le sanzioni - compresa quella più pesante, l’embargo - attuate soprattutto da Stati uniti e Unione europea contro interi Stati, società e persone.

Fondamentale è comprendere il criterio con cui vengono decise: Usa e Ue decretano a loro insindacabile giudizio che uno Stato o altro soggetto ha commesso una violazione, stabiliscono la sanzione o l’embargo totale, e pretendono che gli Stati terzi lo rispettino, pena ritorsioni.

Nel 1960 gli Stati uniti imposero l’embargo a Cuba che, liberatasi, aveva violato il loro «diritto» a usare l’isola come proprio possedimento: il nuovo governo nazionalizzò le proprietà delle banche e multinazionali Usa che controllavano l’economia cubana.

Oggi, 61 anni dopo, l’embargo continua, mentre le compagnie Usa richiedono rimborsi per miliardi di dollari. Nel 2011, in preparazione della guerra Usa-Nato contro la Libia, le banche statunitensi ed europee hanno sequestrato 150 miliardi di dollari di fondi sovrani investiti all’estero dallo Stato libico, di cui successivamente è sparita la maggior parte.

Nella grande rapina si è distinta la Goldman Sachs, la più potente banca d’affari statunitense, di cui Mario Draghi è stato vicepresidente. Nel 2017, in seguito a nuove sanzioni Usa contro il Venezuela, sono stati «congelati» dagli Usa beni per 7 miliardi di dollari e sequestrate 31 tonnellate d’oro depositate dallo Stato venezuelano presso la Banca d’Inghilterra e la tedesca Deutsche Bank.

Su questo sfondo si colloca la nuova, colossale operazione finanziaria lanciata dalla Goldman Sachs, la Deutsche Bank e le altre grandi banche statunitensi ed europee. Apparentemente speculare a quella delle sanzioni, essa prevede non restrizioni economiche o sequestro di fondi per punire i paesi giudicati colpevoli di violazioni, ma la concessione di finanziamenti a governi e altri soggetti virtuosi che si attengono all’«Indice ESG: Ambiente, Società, Governance».

Scopo ufficiale dell’Indice ESG è stabilire le norme per evitare l’imminente catastrofe climatica annunciata dalla Conferenza di Glasgow, per difendere i diritti umani calpestati dai regimi totalitari, per assicurare il buon governo sul modello delle grandi democrazie occidentali. A fissare tali norme sono soprattutto il Dipartimento di stato Usa, il World Economic Forum, la Rockfeller Foundation, la Banca Mondiale, affiancati con ruolo subalterno da alcune organizzazioni Onu. La massima garanzia per i diritti umani è rappresentata dal Dipartimento di stato Usa, il cui embargo all’Iraq con l’avallo Onu provocò, nel 1990-2003, un milione e mezzo di morti tra cui mezzo milione di bambini.

L’operazione finanziaria si concentra sul cambiamento climatico: la Conferenza Onu di Glasgow ha annunciato, il 3 novembre, che «la Finanza diventa verde e resiliente». Nasce la Glasgow Financial Alliance for Net Zero, cui hanno aderito da aprile 450 banche e multinazionali di 45 paesi, la quale si impegna a «investire nei prossimi tre decenni oltre 130 trilioni (130 mila miliardi) di dollari di capitale privato per trasformare l’economia fino a zero emissioni nel 2050». I capitali vengono raccolti attraverso l’emissione di Green Bond (obbligazioni verdi) e investimenti effettuati da fondi comuni e fondi pensione, in gran parte con i soldi di piccoli risparmiatori che rischiano di ritrovarsi in una ennesima bolla speculativa.

Ormai non c’è banca o multinazionale che non si impegni a realizzare le zero emissioni entro il 2050 e ad aiutare in tal senso i «paesi poveri», dove oltre 2 miliardi di abitanti usano ancora la legna quale unico o principale combustibile. Solennemente impegnata per le zero emissioni è anche la compagnia petrolifera anglo-olandese Royal Dutch Shell che, dopo aver provocato un disastro ambientale e sanitario nel delta del Niger, si rifiuta di bonificare le terre inquinate.

Così, in attesa delle zero emissioni, gli abitanti continuano a morire per l’acqua inquinata dagli idrocarburi della Shell.

 

fonte: voltairenet.org

Nell’immaginario universale Facebook è considerato un social network responsabile, che permette a tutti di connettersi in modo riservato, ma al tempo stesso censura i messaggi che contravvengono alle leggi locali. È tutt’altro: Facebook raccoglie informazioni su di voi per conto dell’NSA, censura le vostre opinioni e batte moneta. In pochi mesi questa società è diventata uno dei protagonisti più influenti della politica mondiale.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy