NATOME: così il presidente Trump, che si vanta del proprio talento nel creare acronimi, ha già battezzato lo spiegamento della Nato in Medio Oriente, da lui richiesto per telefono al segretario generale dell’Alleanza Stoltenberg. Questi ha immediatamente acconsentito che la Nato debba avere «un accresciuto ruolo in Medio Oriente, in particolare nelle missioni di addestramento». Ha quindi partecipato alla riunione dei ministri degli esteri della Ue, sottolineando che l’Unione europea deve restare a fianco degli Stati uniti e della Nato poiché, «anche se abbiamo fatto enormi progressi, Daesh può ritornare». Gli Stati uniti cercano in tal modo di coinvolgere gli alleati europei nella caotica situazione provocata dall’assassinio, autorizzato dallo stesso Trump, del generale iraniano Soleimani appena sbarcato all’aeroporto di Baghdad. Dopo che il parlamento iracheno ha deliberato l’espulsione degli oltre 5.000 soldati Usa, presenti nel paese insieme a migliaia di contractor del Pentagono, il primo ministro Abdul-Mahdi ha chiesto al Dipartimento di Stato di inviare una delegazione per stabilire la procedura del ritiro. Gli Usa – ha risposto il Dipartimento – invieranno una delegazione «non per discutere il ritiro di truppe, ma l’adeguato dispositivo di forze in Medio Oriente», aggiungendo che a Washington si sta concordando «il rafforzamento del ruolo della Nato in Iraq in linea con il desiderio del Presidente che gli Alleati condividano l’onere in tutti gli sforzi per la nostra difesa collettiva».

Il piano è chiaro: sostituire, totalmente o in parte, le truppe Usa in Iraq con quelle degli alleati europei, che verrebbero a trovarsi nelle situazioni più rischiose, come dimostra il fatto che la stessa Nato, dopo l’assassinio di Soleimani, ha sospeso le missioni di addestramento in Iraq. Oltre che sul fronte meridionale, la Nato viene mobilitata su quello orientale. Per «difendere l’Europa dalla minaccia russa», si sta preparando l’esercitazione Defender Europe 20, che vedrà in aprile e maggio il più grande spiegamento di forze Usa in Europa degli ultimi 25 anni. Arriveranno dagli Stati uniti 20.000 soldati, tra cui alcune migliaia della Guardia Nazionale provenienti da 12 Stati Usa, che si uniranno a 9.000 già presenti in Europa portando il totale a circa 30.000. Essi saranno affiancati da 7.000 soldati di 13 paesi europei della Nato, tra cui l’Italia, e 2 partner, Georgia e Finlandia. Oltre agli armamenti che arriveranno da oltreatlantico, le truppe Usa impiegheranno 13.000 carri armati, cannoni semoventi, blindati e altri mezzi militari provenienti da «depositi preposizionati» Usa in Europa. Convogli militari con mezzi corazzati percorreranno 4.000 km attraverso 12 arterie, operando insieme ad aerei, elicotteri, droni e unità navali. Paracadustisti Usa della 173a Brigata e italiani delle Brigata Folgore si lanceranno insieme in Lettonia.

L’esercitazione Defender Europe 20 assume ulteriore rilievo, nella strategia Usa/Nato, in seguito all’acuirsi della crisi mediorientale. Il Pentagono, che l’anno scorso ha inviato altri 14.000 soldati in Medio Oriente, sta dirottando nella stessa regione alcune forze che si stavano preparando all’esercitazione di guerra in Europa: 4.000 paracadutisti della 82a Divisione aviotrasportata (comprese alcune centinaia da Vicenza) e 4.500 marinai e marines della nave da assalto anfibio USS Bataan. Altre forze, prima o dopo l’esercitazione in Europa, potrebbero essere inviate in Medio Oriente. La pianificazione della Defender Europe 20, precisa il Pentagono, resta però immutata. In altre parole, 30.000 soldati Usa si eserciteranno a difendere l’Europa da una aggressione russa, scenario che mai potrebbe verificarsi anche perché nello scontro si userebbero non carri armati ma missili nucleari. Scenario comunque utile per seminare tensione e alimentare l’idea del nemico.

 

fonte: www.voltairenet.org

Spendere, ma per fare il bene pubblico. Creando valore, e non sottraendolo alla collettività. Guardando al lungo periodo, e non all’immediato: perché gli strumenti per ripensare l’economia sono gli stessi capaci di produrre inclusività, giustizia sociale, attenzione alla diversità. In altre parole, una società migliore.

Mariana Mazzucato, https://marianamazzucato.com, economista, docente di Innovation and Public Value all’University College di Londra, direttrice dell’Institute for Innovation and Public Purpose e autrice di The value of everything (Il valore di tutto)  da tempo racconta l’esigenza di un cambio di paradigma nei modelli economici dominanti, a partire da una consapevolezza: se non si cambia rotta il rischio molto concreto è quello di una nuova ondata di fascismo, perché gli effetti di scelte economiche sbagliate si misurano non solo sul Prodotto interno lordo, ma soprattutto sulla società.

Nuovi rapporti di forza e un recente equilibrio stanno con discrezione affermandosi nella vallata del Nilo, in Levante e nella penisola arabica. La situazione del Golfo Persico è invece bloccata. Questo notevole e coordinato mutamento riguarda diversi conflitti, in apparenza non collegati fra loro. È frutto del paziente e discreto lavoro della diplomazia russa nonché, in alcuni casi, della buona volontà statunitense. A differenza degli Stati Uniti, la Russia non cerca d’imporre la propria visione del mondo. Parte invece dalla cultura degli interlocutori per modificarla con interventi lievi.

 

Arretramento degli jihadisti e dei mercenari kurdi in Siria

Tutto è cominciato il 3 luglio: uno dei cinque fondatori del PKK, Cemil Bayik, ha pubblicato una libera tribuna sul Washington Post in cui chiedeva alla Turchia di aprire un negoziato facendo uscire dall’isolamento il prigioniero più celebre del partito, Abdullah Öcalan. A un tratto sono state nuovamente autorizzate le visite in prigione al leader dei kurdi autonomisti di Turchia, vietate da quattro anni. Un’apertura immediatamente considerata un tradimento dal Partito Repubblicano del Popolo, che non ha risposto all’appello del 23 giugno a Istanbul, infliggendo una severa sconfitta elettorale al candidato del presidente Erdogan.

La tregua mediata dall’Egitto tra Hamas e Israele potrebbe essere annunciata ufficialmente questa settimana. A riferirlo sono state fonti palestinesi vicine al movimento islamico palestinese, secondo le quali la delegazione egiziana avrebbe raggiunto una intesa in due fasi: la prima, iniziata domenica, rappresentata da alcuni “gesti di buona volontà” d’Israele; la seconda, che scatterà quando sarà formato il nuovo governo israeliano, relativa alle questioni più spinose che riguardano la Striscia.

MANAGUA. Di sinistra da giovane e ora vecchi di destra? Si dice sia un attitudine quasi inevitabile essere rivoluzionari da giovani e diventare di destra invecchiando. Non ci credo. Ciò annida solo negli opportunisti incalliti, che si comportano così secondo le circostanze. Non sono i principi né i valori che forgiano la coscienza di ognuno, la bussola che li orienta. Quasi sempre giustificano le proprie azioni con il trito e ritrito refrain che bisogna essere pragmatici.

 

Ce ne sono in abbondanza di quanti e quante si sono arricchiti in forma smisurata, non per il proprio onorato lavoro giacché questo non genera mai ricchezza, quanto piuttosto per le loro grandi capacità di appropriarsi di beni dello Stato; per sistemarsi nel bilancio pubblico in distinti incarichi negli anni 90 e per fondare associazioni senza fini di lucro la cui gestione fraudolenta gli ha procurato dei buoni utili. Quando non ci furono più possibilità di maggiore ricchezza, poco a poco si allinearono sulla parte opposta. Hanno continuato così ricevendo i loro bei dollari, facendo l'unica cosa che hanno sempre potuto fare.

 

Con una retorica da pseudo-sinistra e con abbondanti finanziamenti esterni hanno viaggiato dappertutto in vari forum mondiali; hanno menato vanto delle loro intime relazioni con alcuni leader latinoamericani considerati di sinistra e dal 2007 – o forse da prima – nei loro molteplici viaggi denunciano l'esistenza in Nicaragua di una dittatura secondo la loro incapacità per definire meglio la situazione.

 

Non era passato neanche un giorno che l'attuale governo si fosse insediato, che gli avevano già affibbiato il marchio di “dittatura”. Tutto questo – sicuramente in modo consapevole – gli è ampiamente servito per mettersi sul mercato e offrirsi come una buona pedina al servizio dei poteri imperiali. Opporsi visceralmente al canale è stata la consacrazione di una posizione che è passata dalla dissidenza alla più accanita e irascibile opposizione, in combutta con i contras, con somozisti e con la destra più reazionaria e pro-imperialista del Nicaragua.

 

Con lo slogan “no ai cinesi” - che hanno sempre gridato incompleto perché in realtà sarebbe “no ai cinesi, sì ai gringos” - hanno cercato il sostegno di settori sociali e territori della contra, tradizionalmente antisandinisti, e hanno iniziato una escalation di attacchi al governo maggiormente organizzata – posto che contavano con la base sociale che chiunque e per qualsiasi motivo può mobilitare contro il il governo sandinista – e con maggiori risorse fornite dagli Stati Uniti, che si oppongono ferocemente alla costruzione di un canale interoceanico alternativo a quello di Panama e si oppongono anche a qualsivoglia governo che non sia sottomesso ai suoi proposito egemonici.

 

Da allora abbiamo visto le stesse vecchie facce, che si precipitano ad accaparrarsi una telecamera in ogni problema - reale o artificiale - che si vive nel nostro paese. Così abbiamo visto gli stessi personaggi negli scontri della Miniera La India, nella Riserva dell'Indio Maiz e, ovviamente, in occasione della Legge di Riforma dellINSS. Sono i primi ad apparire dando dichiarazioni e impadronendosi della leadership in ogni conflitto.

 

Questa assurda e malata onnipresenza frustra qualsiasi tipo di partecipazione di persone in buona fede che possano avere interesse nella ricerca di soluzioni alle nostre difficoltà e frena la nascita di una leadership popolare autonoma e indipendente dal capitale pro-imperialista e nostalgico, includendo quello somozista, che essi stessi rappresentano.

 

Sono figure logore e squalificate non solo per la loro mancanza di carisma, di legame con i problemi reali e quotidiani del popolo e per una sconcertante assenza di credibilità, quanto anche per un discorso obsoleto – e che non calza con le loro attività pro-imperialiste – nel quale mescolano una retorica falsamente di sinistra, con slogan e canzoni create dal popolo nel fragore della lotta antisomozista, anticapitalista e antimperialista.

 

Mentre vanno a braccetto con Ileana Ros-Lehtinen, con Marco Rubio, con Luis Flay, con Eduardo Montalegre e utilizzano La Prensa come loro portavoce, che interpreta lo stesso ruolo che ebbe El Mercurio contro Allende, intonano - senza nessun appoggio popolare - “el pueblo unido jamás será vencido” o gridano “que se rinda tu madre”, una frase che è un paradigma della purezza e coerenza rivoluzionaria e che Leonel Rugama gridò in faccia al tiranno Somoza, l'ultimo marine che lasciarono in Nicaragua gli yankees, dopo aver assassinato Sandino.

 

Nessuno che sia al servizio dei gringos, che abbia richiesto sanzioni contro il Nicaragua o che lanci insulti contro il Venezuela, ha l'autorità morale per intonare le nostre canzoni, ancora meno per farsi chiamare sandinisti. L'antimperialismo è consustanziale al sandinismo. Quindi se una volta lo furono, ora chiaramente non lo sono.

 

Si definiscono anti-governo, in realtà però sono antisandinisti perché altrimenti come si spiega che ricorrano agli USA supplicando sanzioni contro la nostra patria sotto lo slogan “Nicaragua dice basta sandinisti”? O che vituperino la bandiera rojinegra, la calpestino e la odino quando è la bandiera di Sandino, la stessa che Carlos Fonseca recuperò per l'FSLN?

 

Tutta questa gente si è persa per strada ed è andata ad aumentare le lunghe liste di transfughi allineati all'imperialismo. Da Joaquin Villalobos fino a Michelle Bachelet. Hanno navigato con la bandierina di sinistra per coronare infine lo zenit della loro storia con la odiata bandiera a stelle e strisce. Una fine triste per una vita che avrebbe potuto concludersi in maniera gloriosa, e non - come dice Tomás Eloy Martinez - che potendo essere tutto, stanno finendo nel nulla.

 

Giornalista e militante dell'FSLN


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy